Movimenti concentrici. Risonanze Globali.


 Di @HSkelsen, 02 novembre 2023

Quello della prank call alla Presidente del Consiglio è un episodio che ci dà il La per un’analisi che concateni più sfere, espandendosi concentricamente.

Partiamo dall'inizio, o meglio, dal centro. Una nota obbligatoria sulla questione dell’audio diffuso dai russi è che l'accaduto restituisce un'immagine, a dir poco, poco edificante del governo italiano e dell'organizzazione di Palazzo Chigi sul filtraggio delle chiamate che arrivano alla Premier. Parliamoci chiaro, la leader dell'esecutivo che si sfoga con due signori sconosciuti sul fatto che gli altri leader europei non le rispondano al telefono, è un'immagine che tradisce tutto quel millantato prestigio raggiunto nel teatro internazionale. E fino a qui, rimaniamo nella sfera della politics, tutta italiana.

Questo episodio tuttavia ci permette di espanderci a quella successiva, più ampia, che si allarga anche oltre i confini nazionali. Un altro aspetto delle risposte che Meloni ha fornito ai suoi interlocutori moscoviti riguarda l'Ucraina. La Premier, come sappiamo, ha parlato di una stanchezza generale che lei rileverebbe da tutte le parti. Ora, gli eventi vanno anche contestualizzati però. Il 18 settembre scorso, il tema dell'immigrazione era molto presente nel dibattito pubblico. C'è stato l'intervento di Meloni all'ONU e, pertanto, possiamo supporre che le sue parole riflettessero anche un malcontento personale. Invece, sull'Ucraina, personalmente mi verrebbe da pensare che anche quelle considerazioni sulle fatiche altrui possano riflettere, più che altro, un suo stato d'animo.

Questa mia ipotesi nasce dall'assenza di altre spiegazioni plausibili, a mio avviso, dal momento che i fatti ci raccontano altro. Se andiamo a guardare, dal 18 settembre in poi sono stati annunciati ulteriori aiuti per milioni e milioni di euro, dall'Australia al Canada. Non solo, Biden ha anche chiesto che venga approvato un cospicuo pacchetto di aiuti congiunti per Israele e per l'Ucraina (torneremo su questo più avanti). Dunque, finché i termini sono questi, Zelensky non dovrà preoccuparsi di ciò che apprendiamo dalla conversazione tra Meloni e il duo di “comici”.

D'altro canto, però, bisognerà vedere quanto l'accaduto possa giocare a sfavore dell'Italia con gli alleati del fronte ucraino, i quali, credo, non saranno contenti di ciò che filtra da questo “scoop”. Probabilmente non lo gradiranno per il semplice fatto che l'idea di “stanchezza” e quella di “mettere sul tavolo” una soluzione dall'esterno contrastano nettamente con quelle di “supporto per tutto il tempo necessario” e del fatto che “solo l'Ucraina può decidere” come e se negoziare, e con quali termini. Contrasta ugualmente in modo netto con l'idea di compattezza che il fronte occidentale è riuscito a mantenere, nonostante tutte le turbolenze, in quest'anno e otto mesi di guerra su larga scala.

Quest’altro aspetto ci consente di compiere un altro passo in avanti, "verso est" questa volta. Ci sono alcuni dettagli che ci devono interrogare e, anche se le risposte potrebbero risultare assai ovvie, vale la pena sempre mantenere allenata la memoria. La prima domanda che dobbiamo porci è perché l’audio viene diffuso proprio ora?

Chiunque ne capisca qualcosa sa bene che non ci vuole un mese e mezzo per montare un audio su una grafica, un piccolo banner di cui Lexus e Vovan hanno già il template, e per pubblicare questo genere di contenuto. Non parliamo mica di fare l’editing a un colossal. È abbastanza ovvio che in un momento in cui lo scenario internazionale viene ulteriormente destabilizzato da un nuovo conflitto, assestare un altro colpo non può che giovare al Cremlino et al. Far passare il messaggio che gli alleati dell’Ucraina facciano determinate affermazioni in pubblico, ma che, in verità, dietro le quinte non vedano loro di portare Kyiv a trattare, poiché sono stanchi, è una psyop non è indifferente (volta a ridicolizzare l’Occidente, seminare zizzania e demoralizzare gli ucraini). Una vera ciliegina.

La seconda domanda, ridondante, che dobbiamo porci, o dalla cui risposta possiamo trarre conferme, è come mai Lexus e Vovan sanno “come funzionano i protocolli”, come hanno dichiarato loro stessi a Repubblica. Trattandosi dei soliti agit-prop, direi che i conti sono presto fatti su chi fornisce loro indicazioni su tali protocolli.

Direi anche che il piano è perfettamente riuscito. La notizia è diventata virale in poche ore, facendo il giro dei principali media stranieri e anche di quelli nostrani, soprattutto di coloro che sostengono "determinate posizioni", ci si sono fiondati. Le ripercussioni ulteriori, se ci saranno, le vedremo. Intanto, i russi portano a casa questa figura barbina nel fronte opposto.

Il tema dell’Ucraina abbinato a quello della destabilizzazione ci permette di fare ancora un altro passo in avanti, di calcare un’altra sfera, tornando però al tema degli aiuti americani che, come ho premesso, riprendiamo in questo discorso.

Rivolgendosi alla Nazione due settimane fa, per spiegare la necessità e i vantaggi del supporto a Israele e all’Ucraina, Biden mette in correlazione le vicende dei due Paesi. E queste sono veramente collegate, ma lo sono da uno specifico contesto globale, non per le proprie caratteristiche individuali.

L’Ucraina è una giovane democrazia — e, checché se ne dica, lo è a tutti gli effetti. Dall’indipendenza nel 1991, tutti i suoi presidenti sono stati democraticamente eletti e la società civile ucraina ha avuto la forza di affrontare un leader corrotto, che si era rifiutato di rispettare i desideri e le legittime aspirazioni del suo stesso popolo, in favore di un autocrate esterno, da cui veniva tele-guidato come un fantoccio. Parliamo di un Paese pacifico che è stato infiltrato, aggredito e occupato, contro il quale si cerca di compiere un genocidio, in tutte le forme possibili.

Israele è ugualmente una democrazia, che ha sì subito un attacco terroristico degno del più assoluto disprezzo. Ma Israele, a differenza dell’Ucraina, è anche potenza occupante, punto su cui torneremo più avanti. Non è una differenza da poco. Ciò, però, non significa che non abbia il diritto di difendersi, che non meriti supporto e cordoglio per le cose orribili che ha vissuto, per quegli atti ignobili che hanno colpito civili, donne, anziani e bambini. Tuttavia, questo distinguo rimane.

Leggendo alcune analisi, ho notato che molti rilevano, fondatamente, che un grande forse sul supporto americano allo sforzo ucraino potrebbe essere il risultato delle elezioni che si terranno tra un anno negli USA. Aggiungerei, però, un altro rischio, più immediato, che si crea accostando le due vicende nel quadro attuale. Uno degli aspetti di questo rischio è quello sopracitato, ovvero di equiparare vicende che insieme stridono. Un altro aspetto è il contrasto che risulta evidente nella contraddizione che si crea nell'approccio occidentale alle due vicende.

Abbiamo trascorso un anno e otto mesi vagliando minutamente ogni gesto degli ucraini; Ribadendo ogni giorno la necessità di muoversi entro i confini del diritto internazionale, umanitario e bellico, affinché non passino mai e in alcun modo dalla parte del torto. Non solo, abbiamo sbandierato quello stesso diritto internazionale contro la Russia.

Orbene, non serve spiegare più di tanto che tacendo dinanzi a una risposta sproporzionata di Israele, l’Occidente non solo perde ulteriormente di credibilità, ma rischia di danneggiare anche l’altro fronte, quello di Kyiv.

Cina, Nord Corea, Iran, i BRICS, ma soprattutto la Russia non vedono l’ora di rinfacciarci ancora una volta i nostri double-standard (come se loro non ne avessero). E ci stanno già riuscendo perché Hamas, penso di poterlo dire, probabilmente non sta vincendo, ma non sta nemmeno perdendo sul piano della comunicazione. E le ragioni di ciò sono almeno due. Una è la velocità con cui consumiamo le informazioni, associata a una memoria a termine troppo breve; Le immagini dei bombardamenti a Gaza, dei civili morti e, per quanto ne sappiamo, anche eventuali ostaggi, hanno rapidamente sostituito quelle degli orrori del 07 ottobre.

Ma c’è anche una seconda ragione, almeno, che dobbiamo elencare. I giovani sui 20 anni, o giù di lì, che vediamo manifestare oggi per la Palestina nelle piazze, di questa vicenda conoscono solo ciò che è successo all’incirca da quando Hamas governa la Striscia. Conoscono cioè l’occupazione e la violenza dilagante in Cisgiordania perpetrata dai coloni contro i palestinesi. Rimangono molto più nell'ombra gli attacchi continui di Hamas. Israele parte già svantaggiato su questo piano, quello dell’informazione (o della comunicazione), che è anche un piano bellico - quello dell’infowar.

Questo deficit e questa contraddizione, che in alcune parti del mondo chiamano ipocrisia occidentale, ha risvolti immediati anche sulla politica interna dei Paesi, su quella americana soprattutto. Infatti, Biden ha un’enorme pressione che arriva proprio dall’ala democratica, dagli arabi americani, dai giovani, come mostrano recenti sondaggi. E questo è un aspetto che, a un anno dalle elezioni, il presidente americano non può ignorare.

Qui c’è il tema dell’azione, ma anche quello della comunicazione di ciò che si fa, che ritornano, sono una costante di tutto questo discorso. Tema della comunicazione che ci accompagna a partire dal centro, da dove siamo partiti, cioè dalla prima sfera, fino a quella globale. Ed è un tema estremamente difficile da gestire. Lo è anche quello delle azioni però, perché una comunicazione autentica è quella che spiega azioni proporzionate, altrimenti diventa solo propaganda e ipocrisia.

Tutte queste variabili, inoltre, comportano l’aumento dell’odioso fenomeno dell’antisemitismo. E la mia, che sia chiaro, non è una giustificazione, bensì una constatazione. Purtroppo ciò avviene poiché questo scenario non fa che coltivare nuove antipatie verso Israele; Una forma di risentimento che nell’ignoranza si confonde e si trasforma in qualcosa di terribile. Anche questa è guerra ibrida. Perché si dovrebbero sforzare per danneggiare il nemico quando lo fa così bene da solo? Anche eventuali attacchi terroristici perdono di appeal. Alle aggressioni antisemite e/o islamofobiche ci penserà il malessere crescente insieme ai pregiudizi che non se ne sono mai andati.

La Casa Bianca questo sembra averlo compreso, e questa consapevolezza sembra essere in via di sviluppo, almeno stando ai discorsi che sentiamo. La risposta proporzionata non è una risposta proporzionale all’obiettivo soltanto, come ho sentito dire qualche giorno in TV in un talk. Se l’obiettivo fosse quello di cancellare qualcuno dalla mappa, sarebbe proporzionato lanciargli una bomba atomica. Una risposta proporzionata è una risposta ragionevole. E per essere ragionevole, la reazione non può non considerare i civili, i bambini, le donne. Non può trasformarsi in una punizione collettiva di gente inerme, che sfocia persino in accuse di crimini di guerra — esattamente quello che contestiamo alla Russia.

In tutto ciò manca anche un altro aspetto, che è stato indicato magistralmente da Harari, ovvero quello della prospettiva futura. Non possiamo permettere, in quanto umanità, che l’unica prospettiva futura per Gaza sia quella di una disperazione infinita. Bisogna pensare come costruire quel luogo di pace che scompare lentamente. E il futuro, come insegna la storia — e Beveridge — bisogna immaginarlo ora, non a conti fatti.

Questo è un punto fondamentale, poiché questa sarà una lunga battaglia, da combattere mantenendo costantemente l'equilibrio per evitare che possa generare qualcosa di peggiore. La pace in quella zona non si raggiungerà sconfiggendo soltanto Hamas. Ci sono anche Hezbollah e tutte le milizie proxy dell’Iran sparse intorno a Israele. C’è la Siria, un’altra questione dimenticata. C’è tutta quella internazionale che auspica un rovesciamento dell’ordine mondiale — e torniamo al fattore che accomuna realmente questo conflitto a quello russo-ucraino — ordine che noi, come occidente, dobbiamo ristabilire.

Stando così le cose, dobbiamo effettuare un upgrade, nelle azioni e nelle comunicazioni, tenendo presente anche però che Hamas non può più stare lì. Non sarà mai possibile una convivenza pacifica tra israeliani e palestinesi finché sarà presente questa variabile del terrore.

Un cessate il fuoco potrebbe sì rappresentare un’opportunità per Hamas, per riorganizzarsi, e un aspetto che renderebbe l’impresa più difficile, ma non impossibile. Probabilmente, però, risulterebbero molto più dannosi, per Israele, gli effetti collaterali di azioni percepite come odiose.

Una pausa potrebbe permettere, allo stesso modo, di organizzare meglio la situazione dei civili. Il fronte alleato a Israele possiede risorse che permetterebbero di cercare un negoziato con l’Egitto, vantaggioso per al-Sisi, in cambio di un’accoglienza ben organizzata e ben finanziata, gestita con l'ONU, a scadenza limitata, e dichiarata, dei profughi.

Si potrebbe cercare di stabilire così anche un termine per le operazioni. Ipotizziamo: 6, 9 mesi per bonificare la Striscia, con i civili messi in salvo e con il proseguimento delle operazioni terra-aria-mare? L’ipotesi di realizzare campi per donne e bambini nel territorio di Israele mi sembra irrealizzabile purtroppo. Inoltre, bisognerà pensare alla ricostruzione, un onere di cui il fronte occidentale-israeliano potrebbe farsi carico.

E bisogna pensare anche chi gestirà quella fase e l’immediato futuro, in cui, forse, sarà necessaria anche una forza di peacekeeping che coinvolga attori volenterosi del mondo arabo. In quella fase servirà inoltre un interlocutore. Si potrebbe provare, con l’aiuto dei numerosi attori coinvolti, a riabilitare l’ANP come controparte, l’unica attualmente legittimata, anche se lontane, da elezioni democratiche, per riprendere e discutere la questione dei due Stati o di un unico Stato democratico — decisione che dovrà per forza tenere in considerazione la volontà dei palestinesi.

La Palestina è uno Stato che non è mai nato formalmente, rimanendo solo un’idea o un ideale. Non possiamo esportare la democrazia, o almeno in tentativi fatti non sono andati tanto bene. Possiamo però cercare di plasmare una democrazia che dovrebbe nascere e cercare di assicurarci che da questo pantano possa nascere qualcosa di bello e di giusto. E dal momento che uno degli obiettivi consiste nell’eliminare le cause della radicalizzazione, tra le quali c’è una organizzazione politico-militare di stampo teocratico-terrorista, non sarebbe irragionevole cercare di gettare le basi su cui queste prospettive possano realizzarsi.